In questo articolo ci occuperemo dei DPI (Dots per Inch in inglese, tradotto Punti per Pollice). Questa e` una sigla che spesso si trova su molti prodotti tecnologici, dai mouse agli scanner, dalle fotocopiatrici alle stampanti. Essi indicano il numero di punti in altezza e in lunghezza che compongono un’immagine. In pratica indica la risoluzione della stampante, nel nostro caso. Bisogna partire un po’ da lontano e ricordare che le prime stampanti a getto di inchiostro (degli strumenti che visti oggi sembrerebbero preistorici, ma non sono passati più di 20 anni) avevano dei punti così grossi che era possibile distinguerli uno dall’altro.
Le cose per fortuna sono cambiate e oggi le stampanti generano punti così piccoli che non possono essere identificati, nemmeno con ingrandimenti molto forti e` possibile distinguerli e si fondono alla perfezione gli uni con gli altri, formando un’immagine omogenea, nitida e uniforme. Ovviamente per produrre immagini di questa qualità bisogna possedere delle stampanti con una risoluzione molto alta (un po’ come il discorso della risoluzione nelle macchine fotografiche, anche se li influenzano anche altri fattori, come ad esempio le ottiche).
La risoluzione migliore
Un pixel nel caso delle stampanti e` rappresentato da ogni più piccola gocciolina di inchiostro che questa riesce a fornire. In genere una risoluzione accettabile per una stampante parte dai 300 ppi (pixel per inch/pixel per pollice), mentre per stampe fotografiche di alta qualità bisogna alzare il tiro e le stampanti più moderne sono in grado di stampare ad una risoluzione da 1440, 2880 o più punti per pollice. Il nome però di questi punti può ingannare i non addetti ai lavori. Infatti quando un produttore dichiara che la propria stampante ha una risoluzione da 1440 dpi, non significa che riesca ad inserire 1440 punti in ogni pollice, in quanto per formare un punto spesso una stampante ha bisogno di più gocce.
Quindi la stampante e` in grado di inserire in ogni pollice 1440 gocce di inchiostro. Può sembrare un po’ complicato, ma se si capisce il meccanismo in realtà non lo e`. Ti faccio un esempio. Ogni pixel e` formato da un certo numero di punti, che a loro volta sono costituiti da un certo numero di gocce di inchiostro. Purtroppo a confondere le idee ci si mettono anche alcune schede tecniche scritte male, dove dpi viene spesso associato a ppi, mentre sono due cose completamente diverse. Sono simili, ma diversi. Quando volete stampare un’immagine non dovreste mai settare una risoluzione maggiore ai 300 ppi. Qualcuno potrebbe pensare che aumentando questo valore otterrà immagini di una qualità superiore, ma in realtà non e` così.
Non esagerare con i ppi
Infatti 300 ppi e` considerata la soglia oltre la quale, pur aumentando la risoluzione, non se ne trae alcun vantaggio rispetto alla qualità dell’immagine, che anzi tende a diminuire. Con questo possiamo spiegare le dimensioni minime delle gocce. Con 300 pixel si copre un pollice su un foglio di carta, di conseguenza a 400 pixel le gocce (per via delle dimensioni fisiche delle gocce stesse) queste si sovrappongono, diminuendo la qualità dell’immagine. In pratica si perde il dettaglio dell’immagine e più e` grande il pixel, maggiore sarà la quantità di gocce che si sovrappongono e minore la qualità dell’immagine, fino a risultare illeggibile.
Ovviamente questi valori che abbiamo citato sopra non sono da considerare come una soglia assoluta. Molti professionisti affermano di ottenere delle ottime stampe anche a 240 ppi, mentre altri si spingono fino a 360 ppi, ottenendo delle immagini perfette. Altri ancora utilizzano la risoluzione di 288 ppi, che essendo un sottomultiplo di 1440, agevola il lavoro del driver della stampante. Tuttavia questa credenza oggi e` alquanto sorpassata, in quanto i driver hanno subito aggiornamenti e miglioramenti notevoli e non hanno più alcun problema a gestire risoluzioni varie.